m-montanariMarco Montanari, DDS, PhD.

Titolare di borsa di studio presso il Servizio di Odontoiatria per Disabili, AlmaMater Studiorum, Università di Bologna

Libero professionista in Forlì

Introduzione:

Negli ultimi 10-15 anni si è assistito ad un notevole progresso nel campo dell’implantologia osteointegrata, sia in termini di materiali e superfici, che in termini di precisione d’accoppiamento, permettendole di divenire, oggi, una soluzione terapeutica non solo per le edentulie totali o parziali ma anche per le monoedentulie.

Diversi studiosi hanno analizzato l’affidabilità delle riabilitazioni implanto-protesiche e le possibili complicanze in cui si può incorrere suddividendole in due grosse categorie: biologiche e meccaniche.

Le prime sono identificabili essenzialmente con le perimplantiti, patologie infettive a carico dei tessuti di supporto, le seconde hanno, invece, a che fare con la componentistica da cui è costituita, nel suo complesso, una riabilitazione implanto-protesica.

Queste ultime sono: svitamento o frattura della vite di serraggio, perdita di ritenzione della sovrastruttura protesica, frattura dell’abutment, frattura dell’impianto, frattura della struttura metallica della corona e frattura della porcellana.

Bragger et al. (1, 2) hanno analizzato per 10 anni 89 pazienti con riabilitazioni impianto-protesiche in uno studio prospettico con lo scopo di valutare le cause di insuccesso e il ruolo che le complicanze biologiche e quelle meccaniche avevano avuto nei fallimento.

Nel gruppo delle riabilitazioni con monoimpianto delle 69 corone, 7 di queste (10%) sono fallite, 5 (7%) in seguito a complicanze biologiche, 2 (3%) per complicanze meccaniche.

Altri Studi (3) hanno riportato risultati simili mostrando che 112 impianti controllati per 10 anni la complicanza meccanica più frequente eera la perdita dell’abutment per svitamento o per frattura della vite di serraggio (7,1% dei casi).

Lo svitamento è stato riconosciuto come la più frequente problematica meccanica implantare anche da altri Autori (4-10). Che hanno sottolineato come sia strettamente legata alla stabilità della connessione, dal torque d’avvitamento, e dalla precisione tra impianto-vite-abitment.

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Lo svitamento inoltre comporta, come conseguenza, anche un aumento dell’incidenza delle fratture della vite stessa. Infatti, se il paziente non è sollecito nel tornare dal protesista per ri-avvitare o meglio sostituire la vite s’innesca una situazione che aumenta esponenzialmente il rischio di frattura, perché́ le componenti radiali e tangenziali delle forze masticatorie si ripercuotono direttamente sull’interfaccia vite/impianto superando il limite di deformazione plastica del materiale.

La vite tende a fratturarsi più spesso in due punti specifici in cui si concentrano i carichi: a livello del cambio di sezione tra gambo e vite e alla radice della prima spira (dove si concentra la maggior parte del carico). Il rischio di frattura sembra essere legato alla lunghezza della vite (11)

Affinché la connessione della vite possa essere stabile, bisogna che vi sia stato, in fase di avvitamento, un precarico adeguato, che ci sia una notevole precisione nell’adattamento delle componenti di accoppiamento dell’impianto e che l’interfaccia impianto-pilastro goda di adeguati requisiti antirotazionali.

La risoluzione, in questi casi, è molto complessa e può portare alla rimozione dell’impianto (12,13). Inoltre non sembra esserci una metodica codificata e standardizzata finalizzata alla rimozione della vite protesica rotta. Varie metodiche sono state proposte: alcune prevedono l’utilizzo di punte ad ultrasuoni per cercare di svitare il frammento (12), altri prevedono l’utilizzo di kit dedicati alla rimozione della vite (14), altri Autori consigliano di non rimuovere il frammento e di utilizzare viti protesiche più corte (11).

Obiettivo del presente lavoro è documentare un caso di frattura della vite protesica e della sua risoluzione mediante l’impiego di un particolare kit di rimozione specifico per ogni marca implantare.

Caso Clinico

Si è presentato alla nostra osservazione un paziente con ponte supportato da impianti in zona 13 e 16.

L’impianto in zona 16 è un impianto con connessione ad esagono esterno (3i, Biomax, Palm Beach, FL, USA) mentre l’impianto in zona 13 presenta una connessione conometrica pura (Ankylos, Dentsply, York, PA, USA).

 

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Percentuale di Successo

Il paziente è stato inviato da una collega che durante il serraggio della vite sull’impianto in zona 13 ha notato una frattura della stessa (Fig. 18). L’esame radiografico eseguito conferma l’avvenuta frattura della vite e la presenza del frammento all’interno del corpo implantare (Fig.11). La frattura della vite durante il raggiungimento del massimo precarico ne rende praticamente impossibile la rimozione con il semplice uso di punte ad ultrasuoni.

Dopo aver valutato attentamente la situazione clinica, si è deciso di utilizzare il Broken Screw Extraction Kit (Rhein’83, Bologna, Italy) per la risoluzione del caso. Questo kit, specifico per l’impianto su cui si deve intervenire, consente la rimozione del frammento di vite o la sua erosione mediante l’utilizzo di una fresa particolarmente aggressiva e tagliente. Un’altra caratteristica del kit è l’utilizzo di una guida di centramento che aiuta l’operatore durante le fasi cliniche isolando il campo di lavoro e soprattutto permettendo un centramento delle frese e un loro utilizzo corretto evitando di rovinare la filettatura interna della fixture.

Dopo la rimozione del ponte (Fig.7) è stata inserita la guida di centramento (Fig. 3) e montata la fresa ad artiglio sul mandrino (13, 14). Eseguendo dei movimenti rotatori in senso antiorario si cercava di agganciare il frammento di vite rotta e di svitarla per poterla rimuovere. In circa il 90% dei casi si dovrebbe assistere alla rimozione del frammento rotto. Purtroppo nel caso presentato la vite era molto stabile (infatti si è rotta durante il suo serraggio con cricchetto dinamometrico) inoltre era particolarmente sottile (Fig.18). Dopo alcuni tentativi manualmente si è deciso di montare la fresa ad artiglio su manipolo a basso numero di giri, alto torque e senso antiorario (Fig. 4, 15). Durante questa fase si avvertiva che ruotando la punta della fresa ad artiglio in senso antiorario veniva agganciato il frammento di vite ma non si riusciva a svitarlo. Dopo diversi tentativi non andati a buon fine è stata sostituita la fresa ad artiglio con la fresa speciale perforante montata su manipolo riduttore e utilizzata a 2000 rpm (Fig. 9,10,16) in senso antiorario. Questa fresa, molto aggressiva, ha lo scopo di consumare il frammento di vite ma l’operazione va eseguita con molta pazienza ed attenzione cercando di evitare movimenti bruschi che potrebbero fratturare la fresa. Durante questa fase si notava la fuoriuscita dei trucioli metallici del frammento di vite, questi sono stati rimossi con abbondante getto d’acqua. Dopo aver ripetuto l’operazione diverse volte la vite è stata completamente consumata come confermato dalla radiografia endorale (Fig. 1) e il moncone con una nuova vite protesica è stata inserita correttamente e serrata con cricchetto dinamometrico (Fig. 6) mostrando di scendere fino a fine corsa e presentando grande stabilità. A questo punto il caso clinico è stato terminato ricementando il ponte pre-esistente sui monconi degli impianti 13 e 16 (Fig. 12) con grande soddisfazione del paziente, che ha evitato la rimozione dell’impianto o la realizzazione di un nuovo dispositivo protesico, e del clinico che ha risolto brillantemente una situazione potenzialmente complessa con un ridotto dispendio di tempo e fatica.

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Discussione

Gli impianti dentali sono ampliamente usati e si è assistito, soprattutto negli ultimi anni, ad un aumento esponenziale di ditte produttrici. La loro alta percentuale di successo e la possibilità di essere impiegati per ripristinare la funzione masticatoria supportando protesi rimovibili o fisse ne ha incrementato la distribuzione e l’utilizzo, tuttavia è necessario ricordare che non sono esenti da complicazioni o fallimenti. (4-10) La frattura della vite protesica, come documentato nel presente articolo, rappresenta un notevole disagio per il clinico e per il paziente e può comportare l’alterazione del filetto interno dell’impianto, così da renderlo inutilizzabile, o addirittura il suo espianto (12-14). Si può facilmente capire come può deteriorarsi un rapporto di fiducia faticosamente raggiunto, quando la vite protesica che doveva tenere solidale moncone e impianto si allentata inspiegabilmente o si spezza. Bisogna poi considerare le implicazioni economiche che queste problematiche comportano oltre al notevole dispendio di tempo e alla perdita d’immagine agli occhi del paziente. Il presente lavoro documenta l’utilizzo del Broken Screw Extraction kit per la risoluzione di un caso clinico in cui si è verificata la frattura della vite protesica di un impianto. Questo kit, specifico per l’impianto su cui si deve intervenire, consente la rimozione del frammento di vite o la sua erosione mediante l’utilizzo di una fresa particolarmente aggressiva e tagliente. Un’altra caratteristica del kit è l’utilizzo di una guida di centramento che aiuta l’operatore durante le fasi cliniche isolando il campo di lavoro e soprattutto permettendo un centramento delle frese e un loro utilizzo corretto evitando di rovinare la filettatura interna della fixture. Il kit contiene due frese che forniscono due possibili soluzioni: la fresa ad artiglio utilizzata in senso antiorario ha lo scopo di agganciare il frammento di vite e di svitarlo, la seconda è una fresa speciale perforante molto aggressiva che consente, come è avvenuto in questo studio, di consumare il frammento liberando la filettatura interna dell’impianto.

Una volta rimosso il frammento il caso clinico è stato terminato ricementando il ponte pre-esistente con grande soddisfazione del paziente, che ha evitato la rimozione dell’impianto o la realizzazione di un nuovo dispositivo protesico, e del clinico che ha risolto brillantemente una situazione potenzialmente complessa con un ridotto dispendio di tempo e fatica.

Bibliografia

Bibliografia:

  1. Bragger U, Karoussis I, Persson R, Pjetursson B, Salvi G, Lang N. Technical and biological complications/ failures with single crowns and fixed partial dentures on implants: a 10-year prospective cohort study. Clin Oral Implants Res 2005;16:326-34.
  2. Karoussis IK, Salvi GE, Heitz-Mayfield LJ, Bragger U, Hammerle CH, Lang NP. Long-term implant prognosis in patients with and without a history of chronic periodontitis: a 10-year prospective cohort study of the ITI Dental Implant System. Clin Oral Implants Res 2003;14:329- 39.
  3. Priest G. Single-tooth implants and their role in preserving remaining teeth: a 10-year survival study. Int J Oral Maxillofac Implants 1999;14:181-8.
  4. Andersson B, Odman P, Lindvall AM, Lithner B. Single-tooth restorations supported by osseointegrated implants: results and experiences from a prospective study after 2 to 3 years. Int J Oral Maxillofac Implants 1995;10:702-11.
  5. Becker W, Becker BE. Replacement of maxillary and mandibular molars with single endosseous implant restorations: a retrospective study. J Prosthet Dent 1995;74:51-5.
  6. Engquist B, Nilson H, Astrand P. Single-tooth replacement by osseointegrated Branemark implants. A retrospective study of 82 implants. Clin Oral Implants Res 1995;6:238-45.
  7. Balshi TJ, Hernandez RE, Pryszlak MC, Rangert B. A comparative study of one implant versus two replacing a single molar. Int J Oral Maxillofac Implants 1996;11:372-8.
  8. Henry PJ, Laney WR, Jemt T, Harris D, Krogh PH, Polizzi G, Zarb GA, Herrmann I. Osseointegrated implants for single-tooth replacement: a prospective 5-year multicenter study. Int J Oral Maxillofac Implants 1996;11:450-5.
  9. Walton JN, MacEntee MI. A prospective study on the maintenance of implant prostheses in private practice. Int J Prosthodont 1997;10:453-8.
  10. Behr M, Lang R, Leibrock A, Rosentritt M, Handel G. Complication rate with prosthodontic reconstructions on ITI and IMZ dental implants. Internationales Team fur Implantologie. Clin Oral Implants Res. 1998;9:51-8.
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