La moderna riabilitazione protesica dentaria è ampiamente dipendente dall’uso di impianti. Qualora l’osso disponibile non sia idoneo per quantità o morfologia ad accogliere impianti osteointegrati utili alla progettazione di una riabilitazione protesica, si ricorre a innesti di osso autologo (in blocco o particolati) per la ricostruzione di difetti ossei mono-, bi- e tridimensionali.

L’esito di questo tipo di chirurgia può essere influenzato in maniera significativa dalle caratteristiche metaboliche dell’osso (Fig. 1). Anche nei casi in cui non sia necessario utilizzare innesti ossei, stabilità e durata dell’interfaccia osso-impianto sono variabili dipendenti da diversi fattori locali e sistemici che influenzano il metabolismo osseo e quindi anche le caratteristiche dell’osso in cui è stato inserito l’impianto.
È pertanto fondamentale per l’odontoiatra che esegue queste procedure conoscere le basi del metabolismo osseo ed eseguirne una valutazione preoperatoria al fine di aumentare le probabilità di successo dell’intervento.

Fig. 1 - Regolazione della calcemia

Fig. 1 – Regolazione della calcemia

 

Fig. 1: Regolazione della calcemia. 
La figura illustra in basso a sinistra la via metabolica della vitamina D, sintetizzata nella cute per effetto dei raggi UVB e metabolizzata prima nel fegato e poi nel rene. Le ghiandole paratiroidi percepiscono le variazioni della calcemia e nel caso questa si riduca, come avviene se l’apporto di calcio con la dieta è inadeguato, secernono ormone paratiroideo (PTH). Il PTH modula l’attività cellulare ossea e aumenta la mobilizzazione di calcio dall’osso. Inoltre a livello renale aumenta il riassorbimento di calcio, ma soprattutto stimola l’attività dell’enzima 1-alfa-idrossilasi, determinando un aumento della sintesi di calcitriolo, il metabolita biologicamente attivo della vitamina D. L’aumento del calcitriolo contribuisce a ripristinare una calcemia normale in tre modi: 1) attiva il trasporto intestinale di calcio, aumentandone il riassorbimento; 2) aumenta la mobilizzazione di calcio dall’osso; 3) nel rene, aumenta il riassorbimento tubulare di calcio.

 

Regolazione del metabolismo osseo e della calcemia.

I livelli ematici di calcio e di fosforo, elementi fondamentali per molte funzioni cellulari, sono finemente regolati grazie a una continua interazione tra diverse molecole, tra cui in particolare vanno ricordati il paratormone, lavitamina D e la calcitonina.
Questa interazione si esplica in particolare su tre organi: l’osso, il rene e l’intestino (fig. 1).
Una visione internistica, più ampia di quella specialistica con cui l’odontoiatra si confronta quotidianamente, è necessaria per comprendere come l’osso mandibolare e mascellare su cui si lavora sia fortemente influenzato dalle condizioni generali di salute del paziente, e in particolare dallo stato di salute dello scheletro.
L’organismo umano contiene 1,0-1,3 kg di calcio, che per il 99% è depositato nell’osso,complessato con il fosforo sotto forma di cristalli di idrossiapatite. Nel plasma il calcio ha una concentrazione variabile da 8,5 a 10,4 mg/dL e si trova in forma libera (ionizzato) per circa il 50%. La restante metà è prevalentemente legata alle proteine e una piccola quota forma complessi con citrato e fosfato.
Oltre a essere un componente essenziale della struttura ossea, il calcio ha altre importanti funzioni fisiologiche:

  • È coinvolto nei processi di eccitabilità cellulare e di mantenimento dell’integrità di membrana;
  • È responsabile della contrazione muscolare scheletrica e cardiaca;
  • Partecipa al sistema della coagulazione;
  • Determina il rilascio di ormoni e neurotrasmettitori agendo come secondo messaggero.

Paratormone

Il paratormone (PTH) è prodotto dalle cellule principali delle paratiroidi la cui secrezione è regolata principalmente dalle variazioni della calcemia. Il PTH agisce in modo diretto principalmente su due organi bersaglio: il tessuto osseo e il rene (tabella 1).

 

Tabella 1 - Azioni fisiologiche del paratormone PTH, della vitamina D e della calvitonina

Tabella 1 – Azioni fisiologiche del paratormone PTH, della vitamina D e della calvitonina

 

Nel tessuto osseo promuove la mobilizzazione di calcio e fosforo dallo scheletro con vari meccanismi:

  • Stimola gli osteoclasti e aumenta il loro numero;
  • Stimola gli osteociti a secernere enzimi proteolitici, che provocano il riassorbimento della matrice proteica;
  • Probabilmente inibisce gli osteoblasti

Recentemente è emerso che le azioni del PTH sull’osso sono più complesse e non ancora ben chiarite. In particolare alla visione tradizionale dell’azione del PTH conseguente a una sua ipersecrezione prolungata (come avviene nell’iperparatiroidismo primitivo o nel secondario all’insufficienza renale), che aumenta il numero e l’attività degli osteoclasti e quindi promuove il rilascio di calcio, fosforo e componenti della matrice ossea, si è aggiunta, in netto contrasto, l’osservazione che la somministrazione a breve termine o intermittente di PTH aumenta la formazione ossea tramite un’azione anabolica sugli osteoblasti e i loro precursori.
A livello renale il PTH diminuisce il riassorbimento del fosforo da parte del tubulo prossimale, abbassando così la fosforemia; aumenta il riassorbimento di calcio a livello del tubulo distale; inoltre stimola l’enzima 1-alfa-idrossilasi che trasforma la 25(OH)vitamina D3 in 1,25(OH)2D3, il metabolita più attivo della vitamina D (calcitriolo), che, agendo a livello intestinale, aumenta l’assorbimento di calcio e fosforo.

Il termine in realtà comprende un gruppo di composti di natura steroidea che a tutti gli effetti possono essere inquadrati come un complesso ormonale.

Esistono due forme chimiche di vitamina D la D2 e la D3.
La vitamina D2, o ergocalciferolo, è un composto di origine vegetale che si ottiene per irradiazione dell’ergosterolo e va incontro alle stesse modificazioni metaboliche della vitamina D3.
La vitamina D3, o colecalciferolo, deriva dal 7-deidrocolesterolo (7DHC), composto di origine animale.

Come è caratteristico di tutti gli ormoni, l’organismo umano è in grado di sintetizzare la vitamina D3 e successivamente di renderla attiva tramite alcune trasformazioni metaboliche. Il primo passaggio è la formazione di vitamina D3 nella cute per effetto dei raggi ultravioletti. Per questo motivo l’esposizione alla luce solare è fondamentale per una buona salute dell’osso.
I fabbisogni quotidiani di vitamina D sono di 400-800 unità nell’infanzia e di almeno 100 unità nella vita adulta. L’apporto alimentare è scarso,l’assorbimento intestinale avviene a livello digiuno-ileale, dove la vitamina D viene incorporata da piccole micelle di grasso e di sali biliari.

Per essere attiva la vitamina D3 (colecalciferolo) deve essere modificata da due reazioni enzimatiche di idrossilazione (fig. 1): prima nel fegato, con formazione del 25-idrossi-colecalciferolo [25(OH)D3], a opera dell’enzima mitocondriale epatico 25-alfa-idrossilasi. La seconda idrossilazione avviene nel rene con formazione di 1,25-diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3 o calcitriolo], a opera dell’enzima mitocondriale renale 1-alfa-idrossilasi: l’attività di questo enzima viene stimolata dall’ipocalcemia, dall’ipofosfatemia e dal PTH.

È importante sottolineare che per determinare uno stato di carenza di vitamina D il metabolita più adatto da misurare è il 25(OH)D3, in quanto i livelli di 1,25(OH)2D3 sono mantenuti nei limiti di norma anche con una carenza già clinicamente significativa.

L’azione principale del calcitriolo è contribuire a mantenere la calcemia nei limiti di norma.
Il calcitriolo agisce a tre livelli (Tabella 1):

  • Determina un aumento della quota di matrice calcificata, ma induce anche la trasformazione di cellule staminali in osteoclasti maturi, che poi mobilizzano calcio dall’osso; questa duplice e apparentemente contraddittoria azione consente al calcitriolo,a seconda del livello di calcemia, di esercitare una potente azione di riassorbimento o di sintesi ossea;
  • A livello intestinale aumenta l’assorbimento di calcio e fosforo;
  • A livello renale diminuisce l’escrezione di calcio e fosfati.

Calcinonina

La calcitonina è un polipeptide di 32 aminoacidi prodotto dalle cellule parafollicolari, o cellule C, della tiroide. Il suo ruolo fisiologico nell’uomo non è ancora stato completamente chiarito. La sua secrezione è stimolata dall’aumento della calcemia e inibita da un calo della calcemia.
Tuttavia va sottolineato che la calcemia è regolata prevalentemente dalle variazioni della secrezione di PTH. Anche il ruolo della calcitonina nella terapia dell’osteoporosi è stato ridimensionato, dopo un suo uso alquanto esteso, soprattutto in Italia.

I marcatori del metabolismo osseo

Oltre alla determinazione dei livelli di PTH e di 25(OH)vitamina D3 (il metabolita che meglio indica la presenza di un deficit di vitamina D), nella valutazione del metabolismo osseo sono importanti altri esami ematici e urinari3. Il dosaggio di questi marcatori è utile non solo per l’inquadramento diagnostico, ma anche per il monitoraggio di una terapia.
Nella tabella 2 sono elencati i principali esami strumentali e bioumorali richiesti nel nostro centro per la valutazione del metabolismo osseo nei pazienti che devono essere sottoposti a chirurgia orale preimplantare.
Gli esami di routine comprendono:
calcemiafosforemiafosfatasi alcalinacalciuriafosfaturiaelettroforesi proteicafunzionalità epatica,renale e tiroidea, e sono spesso utili per escludere le principali cause di osteoporosi secondaria; la proteina C reattiva indica la presenza di uno stato infiammatorio spesso responsabile di alterazione dei parametri di routine. Nei casi sospetti di ipogonadismo sono testati FSH, LH, prolattina, estrone. Considerata la sintomatologia subdola, è utile pensare alla possibilità di malattia celiaca, che può indurre malassorbimeto intestinale e quindi deficit di calcio.

Tabella 2 - Principali esami strumentali e bioumorali richiesti nel nostro centro per la valutazione del metabolismo osseo

Tabella 2 – Principali esami strumentali e bioumorali richiesti nel nostro centro per la valutazione del metabolismo osseo

Indici di sintesi ossea

L’osteocalcina (GLA) è una proteina ossea considerata un buon marcatore specifico del metabolismo osseo. Lega gli ioni calcio e ha affinità per l’idrossiapatite, per cui si ritiene che possa intervenire nella fase di mineralizzazione ossea, anche se il suo ruolo specifico in questo processo non è ancora noto.

Essa viene prodotta dagli osteoblasti sotto il controllo del calcitriolo, passa in circolo e viene escreta per filtrazione renale.Valori elevati di osteocalcina si riscontrano in genere nelle condizioni in cui vi sia un rimodellamento osseo attivo, spesso associato a un aumento dei livelli di calcitriolo.
D’altra parte si osservano valori bassi di osteocalcina quando sussiste un difetto di mineralizzazione, una diminuita attività ossea e bassi livelli di calcitriolo.

Anche la fosfatasi alcalina è un indice di sintesi ossea. Poiché ne esistono due forme, un isoenzima di derivazione epatica e uno di derivazione ossea, è utile ottenere la determinazione dell’isoenzima osseo.
In assenza dell’isoenzima, poiché la fosfatasi alcalina totale può essere elevata anche per patologie epatiche, queste possono essere escluse con la determinazione di altri indici di colestasi, come le gamma-glutamil-transpeptidasi (γ-GT).

Indici di riassorbimento osseo

Gli esami bioumorali che indicano l’entità del riassorbimento osseo sono diversi, sebbene tutti misurino molecole che provengono dal catabolismo della matrice ossea che si verifica durante il processo di riassorbimento osseo. In particolare sono stati prodotti diversi test dei livelli urinari di strutture di legame (cross-links) delle fibre collagene ossee.
cross-links vengono rilasciati dall’osso in seguito alla degradazione della matrice, sia in forma libera che legati alle porzioni N-terminale e C-terminale del collagene5.

I principali test disponibili dosano:

  • idrossiprolina (Hyp);
  • piridinoline totali (Pyr) e libere (f-Pyr);
  • desossipiridinoline totali (d-Pyr) e libere (f,d-Pyr);
  • telopeptide N-terminale del collagene di tipo I (NTx);
  • telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (CTx o ICTP).

Questi marcatori sono dosati nelle urine; recentemente è stato introdotto anche un test ematico per il telopeptide C-terminale del collagene I (β-Cross-laps).

Rimodellamento osseo normale

L’osso è un tessuto connettivo specializzato che costituisce, assieme alla cartilagine, il sistema scheletrico.
Questi tessuti esplicano almeno tre importanti funzioni:

  • meccanica, per il supporto e il movimento corporeo, assieme al sistema muscolare scheletrico;
  • protettiva, per gli organi vitali e il midollo osseo;
  • metabolica, come riserva di ioni (in particolare calcio e fosfati) per il mantenimento dell’omeostasi minerale, essenziale per la vita.

Come tutti i tessuti connettivi, anche l’osso è costituito da diversi tipi di cellule che interagiscono all’interno di una matrice extracellulare.
La figura 2 illustra l’aspetto microscopico di una trabecola ossea in cui sono rappresentate le cellule coinvolte nel processo di rimodellamento osseo:

  • osteoclasti, che hanno la funzione di riassorbire osso;
  • osteoblasti, che preparano la matrice ossea (osteoide) necessaria per il processo di calcificazione;
  • osteociti, derivati da osteoblasti che rimangono all’interno dell’osso calcificato.

Fig. 2 - Cellule coinvolte nel rimodellamento osseo

Fig. 2 – Cellule coinvolte nel rimodellamento osseo

 

Fig.2: Cellule coinvolte nel rimodellamento osseo.
Aspetto microscopico di una trabecola ossea in cui sono rappresentate le cellule che partecipano al processo di rimodellamento osseo: osteoclasti, che hanno la funzione di riassorbire osso, osteoblasti, che preparano la matrice ossea (osteoide) necessaria per il processo di calcificazione, osteociti, derivati da osteoblasti che rimangono all’interno dell’osso calcificato.

Le cellule del midollo osseo sono inoltre fondamentali come precursori delle cellule ossee e nel fornire fattori che stimolano o inibiscono la calcificazione.

La matrice cellulare è costituita principalmente da fibre collagene (tipo I, 90% delle proteine totali).
Rispetto ad altri tessuti connettivi, però, la matrice extracellulare ossea ha la caratteristica peculiare di calcificare, attraverso la deposizione di cristalli di idrossiapatite.
Il processo di calcificazione potrebbe essere di tipo attivo, ma in alternativa è possibile che sia dovuto all’assenza di sostanze che in altri tessuti sono in grado di prevenire la calcificazione.
Anche dopo la calcificazione, la matrice ossea resta metabolicamente attiva e ospita strutture cellulari, gliosteociti (25000/mm3 di osso calcificato), derivati dagli osteoblasti che hanno costituito la matrice.

La principale funzione degli osteociti è verosimilmente quella di agire come sensori meccanici e di attivare localmente il rimodellamento osseo. A tal fine gli osteociti comunicano tramite una fitta rete di microfilamenti con altri osteociti e con le cellule presenti alla superficie dell’osso (osteoblasti e cellule piatte endostiali e periostiali). La superficie costituita da questa struttura reticolare, che mette anche in contatto l’osso con il fluido extracellulare,nell’adulto è di oltre 1000 m2, enorme se si paragona alla già ampia superficie dei capillari polmonari, 140 m2.

Il rimodellamento osseo ha luogo sulla superficie ossea, principalmente a livello dell’endostio dove l’osso interagisce con il midollo osseo. Questa superficie è morfologicamente eterogenea e riflette le attività cellulari necessarie al rimodellamento osseo: la sintesi ossea viene esplicata dagli osteoblasti, mentre il riassorbimento osseo dagli osteoclasti.

Lo scheletro è un tessuto metabolicamente molto attivo, altamente vascolarizzato e in uno stato dinamico di continuo alternarsi di riassorbimento e sintesi ossea. Ciò si verifica non solo in fase di crescita, ma anche nell’adulto: ogni anno, circa il 20-30% dell’osso trabecolare e il 2-10% dell’osso corticale vengono riassorbiti e reintegrati con nuovo osso. È importante sottolineare come in alcuni specifici segmenti scheletrici, e in particolare in corrispondenza dell’articolazione temporo-mandibolare, nei processi alveolari, e all’interfaccia con impianti osteointegrati, il rimaneggiamento osseo supera il 30% all’anno. Ciò è probabilmente legato al carico meccanico imposto dalla funzione masticatoria; di conseguenza alterazioni della masticazione e variazioni del carico meccanico possono avere un profondo impatto sul rimaneggiamento osseo.

Il rimodellamento osseo avviene in aree focali su tutto lo scheletro e un ciclo completo di rimodellamento richiede un periodo di tempo stimato intorno a 3-4 mesi. La prima descrizione moderna di questo processo è stata fornita da Frost circa 40 anni fa, che ha definito l’importanza delle “unità di rimodellamento osseo”, indipendenti tra di loro cronologicamente e topograficamente.
Questo suggerisce che la sequenza di eventi cellulari responsabili del rimo dellamento è verosimilmente controllata da meccanismi locali del micro-ambiente osseo.

La sequenza è la seguente:

  1. attivazione dei precursori degli osteoclasti (Colony Forming Unit- Granulocyte Macrophage, CFU-GM);
  2. riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti;
  3. fase di sostituzione della popolazione cellulare da osteoclasti a osteoblasti, i cui precursori sono i CFUF (Colony-Forming Unit-Fibroblast );
  4. sintesi ossea (deposizione della matrice osteoide da parte degli osteoblasti e successiva calcificazione);
  5. completamento dell’unità strutturale ossea e ritorno a una fase di quiescenza, in cui la superficie ossea è nuovamente ricoperta da cellule appiattite, di derivazione osteoblastica.

Normalmente questo processo, illustrato schematicamente nella figura 3, determina una completa riparazione del difetto osseo creato dagli osteoclasti, il che mantiene l’integrità dello scheletro.Tuttavia, se si verifica uno squilibrio tra distruzione e sintesi ossea, è possibile osservare un progressivo impoverimento dello scheletro, tipico dell’osteoporosi primitiva e di altre malattie metaboliche dell’osso che inducono osteoporosi secondaria.

Fig. 3 - Rimodellamento osseo

Fig. 3 – Rimodellamento osseo

 

Fig. 3: Rimodellamento osseo
Il tessuto osseo si rigenera tramitecontinui processi di rinnovamento delle unità di rimodellamento osseo.
In questa figura viene schematicamente illustrata la sequenza di rimodellamento dell’osso trabecolare, ma gli stessi principi si applicano anche all’osso compatto, costituito da sistemi Haversiani centrati intorno a un vaso capillare.
A) Le cellule che ricoprono la superficie ossea in fase di riposo interagiscono con segnali sistemici e con le cellule del midollo osseo, determinando l’attivazione del processo di rimodellamento.
B) A partire dalle CFU-GM vengono reclutati gli osteoclasti e si attiva il processo di riassorbimento osseo, che dura circa 10 giorni. C) Gli osteoclasti vengono sostituiti da osteoblasti, derivati dalle CFU-F. D) Gli osteoblasti sintetizzano osteoide, che viene successivamente mineralizzato. E) Il processo di mineralizzazione è completato e l’osso neoformato è nuovamente ricoperto da cellule quiescienti.
CFU-GM = colony forming unit-granulocyte macrophage; CFU-F = colony-forming unit fibroblast.

Lo scheletro è costituito da osso corticale (compatto) e da osso trabecolare (figura 4).
I processi di rimodellamento sono diversi nei due tipi di osso, che dovrebbero essere considerati come due diverse entità funzionali.

Fig. 4 - Struttura ossea

Fig. 4a – Struttura ossea

Fig. 4a: Struttura ossea
Questa fotografia illustra chiaramente l’architettura dell’osso nelle sue due componenti fondamentali: l’osso corticale nella porzione più esterna, con funzione prevalentemente strutturale di sostegno e l’osso trabecolare, nella parte interna, con funzioni prevalentemente metaboliche.
Il mantenimento della componente strutturale è molto influenzato da fattori biomeccanici, come il carico funzionale. Tra le trabecole ossee sono presenti spazi midollari in cui l’osso interagisce con le cellule del midollo osseo e con i vasi che portano segnali di regolazione metabolica e ormonale sistemica.
All’esterno dell’osso corticale è presente il periostio, una membrana connettivale ricca di vasi e di terminazioni nervose che riveste le ossa e che consente l’accrescimento esterno delle ossa.

Fig. 4b - Struttura dell' osso mandibolare

Fig. 4b – Struttura dell’ osso mandibolare

Fig. 4b: Schematizzazione dell’osso mandibolare
Il disegno schematizza la struttura dell’osso mandibolare visto in sezione.
La parte corticale con funzione strutturale avvolge l’elemento dentario e circonda l’osso trabecolare nella parte più interna dell’osso.

L’osso corticale è rivestito all’esterno dal periostio, costituito da una membrana di connettivo fibroso e da uno strato di connettivo lasso con numerosi osteoblasti che formano a loro volta uno strato continuo a contatto dell’osso durante l’accrescimento, che diventa discontinuo nell’adulto. Il periostio è responsabile dell’accrescimento in spessore dell’osso e manca nelle parti rivestite da cartilagine articolare e in corrispondenza dell’inserzione dei tendini e dei legamenti alle ossa, dove fasci di connettivo penetrano direttamente nell’osso stesso; anche la cavità midollare delle diafisi è rivestita da una delicata lamina connettivale, l’endostio, provvisto di proprietà osteogene.

L’osso corticale rappresenta circa il 40% dell’osso vertebrale, il 50% della regione intertrocanterica del femore, il 75% del collo del femore e il 95% dell’osso nella porzione mediale del radio.
Nel massiccio facciale, e in particolare nell’osso mascellare, l’osso trabecolare è prevalente, mentre la mandibola ha una discreta quantità di osso corticale. Il carico meccanico ottimizza la massa di tessuto mineralizzato, la sua qualità e l’orientamento delle linee di carico dell’osso.

I denti sono inseriti in una solida struttura di supporto, l’osso alveolare, sia nella mandibola che nell’osso mascellare. Poiché la mascella subisce un carico prevalentemente da compressione, la sua struttura ossea è simile a quella di una vertebra, ovvero prevalentemente trabecolare con uno strato di osso corticale relativamente sottile. L’osso corticale della mandibola è molto più spesso, poiché agisce come una leva ed è sottoposta a notevole torsione e forza muscolare.

Per evitare che si sviluppi atrofia, l’osso alveolare richiede probabilmente una sollecitazione più rilevante rispettoall’osso alla base delle arcate dentarie.
Una volta perso un elemento dentario, il processo alveolare tende a riassorbirsi piuttosto velocemente, per l’assenza di carico meccanico.

Il riscontro di una grave e progressiva atrofia dell’osso delle arcate dentarie si associa di solito alla mancanza di diversi elementi dentari associata alla presenza di un bilancio calcico negativo. I pazienti con atrofia mandibolare e/o mascellare rappresentano una sfida clinica rilevante per l’odontoiatra-chirurgo che decide di ripristinare elementi dentari permanenti; è possibile inserire impianti osteointegrati in questo tipo di pazienti a condizione che vengano corretti il bilancio calcico negativo ed eventuali alterazioni del metabolismo osseo e che la massa scheletrica residua sia sufficiente per l’inserimento degli impianti o quantomeno possa supportare l’innesto di osso prelevato da altre parti dello scheletro.

Le differenze di composizione dell’osso influenzano il rischio di frattura e le modalità di perdita di massa ossea, a loro volta dipendenti dall’ambiente in cui si trovano le cellule ossee. Nell’osso trabecolare le cellule ossee sono in stretto contatto con le cellule del midollo, che producono diverse citochine osteotrope.
D’altra parte le cellule dell’osso corticale, che si ritiene siano meno influenzate da queste citochine, dovrebbero essere più influenzate dagli ormoni osteotropi sistemici, come il PTH e il calcitriolo [1,25(OH)2D3].

L’accoppiamento (coupling) tra distruzione e sintesi ossea è regolato in modo preciso da meccanismi ancora non ben chiariti. La loro comprensione potrebbe aiutare a controllare la perdita di massa ossea che si verifica quando la sintesi ossea non ripristina completamente l’osso demolito dagli osteoclasti. Gli osteoblasti e gli osteoclasti concorrono al processo di rimodellamento osseo, ma hanno origini completamente diverse: gli osteoclasti originano dalle cellule staminali ematopoietiche (CFU-GM, Colony Forming Unit-Granulocyte Macrophage) o da cellule del midollo osseo che hanno la capacità di circolare. Gli osteoblasti, invece, derivano da cellule staminali mesenchimali-stromali (CFU-F, Colony-Forming Unit Fibroblast).

Diversi ricercatori hanno ipotizzato che il coupling sia mediato localmente da fattori umorali che agiscono sugli osteoblasti, o che un fattore stimolante gli osteoblasti (IGF-1, Insulin Growth Factor-1; IGF-2;TGF-β,Transforming Growth Factor-β) venga rilasciato dalla matrice ossea durante il riassorbimento osteoclastico, determinando attivazione degli osteoblasti e neoformazione di osso.Tuttavia questo meccanismo non è provato con certezza e potrebbero essere coinvolti altri fattori umorali locali e sistemici o altri meccanismi cellulari locali.

Rimodellamento nelle malattie ossee

Prima di affrontare un piano di trattamento che preveda impianti dentari e ancor di più prima di un intervento di innesto osseo, è fondamentale un inquadramento diagnostico che identifichi eventuali osteopatie metaboliche. La procedura di screening di queste malattie deve comprendere un’attenta anamnesi, la valutazione di segni, sintomi ed esami bioumorali indicativi di patologia scheletrica e una valutazione dei fattori di rischio che possono essere associati a bilancio calcico negativo e quindi a uno stato di osteopenia o osteoporosi. Nella tabella 3 sono elencate le principali malattie metaboliche ossee nei pazienti di età medio-avanzata che tipicamente si presentano dall’odontoiatra per problemi di perdita di elementi dentari; nella tabella 4 sono elencati i principali fattori di rischio per osteopenia.

 

Tabella 3 - Principali osteopatie metaboliche.

Tabella 3 – Principali osteopatie metaboliche.

Tabella 4 - Fattori di rischio di osteopenia.

Tabella 4 – Fattori di rischio di osteopenia.

Le osteopatie metaboliche sono caratterizzate da specifiche alterazioni del processo di rimodellamento.
Nelle malattie in cui si osserva attivazione degli osteoclasti, come l’iperparatiroidismo primitivo, l’ipertiroidismo e la malattia di Paget, c’è un aumento compensatorio e relativamente bilanciato della sintesi ossea.
In questi casi si osserva quindi una velocità di rimaneggiamento (turnover) elevata.

D’altra parte esistono alcune patologie in cui l’attività osteoblastica è compromessa e non riesce a riparare e rimpiazzare l’osso demolito dagli osteoclasti. Un esempio di questo tipo di patologie è il mieloma multiplo, in cui sono presenti lesioni osteolitiche localizzate con modesta formazione ossea, dovuta a uno specifico difetto nella maturazione degli osteoblasti. Anche nei tumori solidi che danno metastasi ossee si osserva un fenomeno analogo: l’osso prevalentemente coinvolto da questo fenomeno è l’osso trabecolare, poiché le cellule tumorali si localizzano nel midollo osseo e producono fattori locali che stimolano l’attività osteoclastica sulle trabecole ossee e sulla parte endostale dell’osso corticale.

Nei pazienti con osteoporosi senile si crea un progressivo assottigliamento delle trabecole ossee per l’incapacità degli osteoblasti di riparare il difetto osseo normalmente creato dagli osteoclasti. Più precisamentel’osteoporosi è l’accentuazione patologica di un processo fisiologico, poiché in tutti i soggetti dopo il quarto decennio di vita si osserva una progressiva perdita di massa ossea, risultato di uno sbilanciamento tra distruzione e sintesi ossea.

Ci sono infine due situazioni in cui gli osteoblasti inducono formazione di osso senza che prima si sia verificato un fenomeno di riassorbimento: metastasi osteoblastiche di tumori solidi (carcinoma della prostata e della mammella) e prolungata esposizione a dosi farmacologiche di fluoro. La terapia con fluoro, tuttavia, non viene più utilizzata a fini terapeutici in quanto a fronte di un aumento della massa ossea non è stato osservata una riduzione del rischio di fratture vertebrali, ma anzi è stato osservato un aumento del rischio di fratture non vertebrali nel caso si utilizzino dosi elevate.
Questo indica che non è solo la quantità di osso mineralizzato che conta, ma anche la qualità della microarchitettura ossea.

Regolazione dell’attività osteoclastica

L’attività osteoclastica può essere stimolata o inibita agendo indirettamente sulla proliferazione dei precursori degli osteoclasti, sulla differenziazione-fusione dei precursori in cellule multinucleate e sulla loro inattivazione tramite apoptosi.

Un importante mediatore dell’attivazione degli osteoclasti è il sistema RANK-L/RANK/osteoprotegerina.
RANK-L (RANK ligand) è una proteina espressa sulla superficie degli osteoblasti che è in grado di attivare gli osteoclasti interagendo con il suo recettore RANK.
L’osteoprotegerina (OPG) è una molecola che ha caratteristiche simili a RANK, (il recettore di RANK-L presente sugli osteoclasti), come se fosse un finto recettore circolante, e che può quindi influenzare l’interazione tra osteoblasti e osteoclasti spegnendo il messaggio di attivazione.

Gli ormoni sistemici che regolano l’attività osteoclastica sono il PTH, il calcitriolo [1,25(OH)2D3] e lacalcitonina.

Il PTH stimola sia la formazione ossea che il suo riassorbimento in vitro e in vivo, a seconda che sia somministrato in modo intermittente o continuo. Il motivo di questo diverso comportamento è ancora da chiarire, ma è ormai evidente che in alcune situazioni il PTH nelle giuste quantità e con somministrazione intermittente può favorire la formazione ossea, tanto che ne è stata recentemente introdotta una formulazione farmacologica per il trattamento dell’osteoporosi, il teriparatide.

Il calcitriolo è un potente stimolatore del riassorbimento osseo. Come nel caso del PTH, stimola la differenziazione e la fusione dei progenitori degli osteoclasti con un meccanismo indiretto che coinvolge gli osteoblasti e il sistema RANKL/RANK/OPG. Tuttavia, le azioni del calcitriolo sono molto più complesse in quanto questa molecola influenza il bilancio di calcio e fosforo e agisce inoltre come immunomodulatore.

La calcitonina è un ormone polipeptidico con una potente ma transitoria attività inibitrice del riassorbimento osseo. La sua azione sugli osteoclasti si esaurisce dopo alcuni giorni di trattamento, come evidenziato dalla recidiva di ipercalcemia dopo 48-72 ore nei pazienti ipercalcemici trattati con calcitonina.

Una prova consistente del ruolo fondamentale del sistema RANKL/RANK/OPG deriva dagli esperimenti di distruzione selettiva dei geni che codificano per RANK-L e OPG, con la creazione di topi “knock out”. Se si elimina il gene OPG si osserva fin dalla nascita una gravissima osteoporosi, causata da un aumento della formazione e della funzione di osteoclasti, come pure da un aumento della loro sopravvivenza;inoltre i topi OPG-carenti sviluppano calcificazioni arteriose, il che fa supporre un ruolo protettivo di OPG nelle calcificazioni vascolari

RANK-L induce la formazione di osteoclasti e OPG inibisce questo processo. Di conseguenza il topo reso carente di RANK-L con la metodica di “knock out” del gene esibisce tipicamente un quadro di osteopetrosi (un marcato aumento della densità minerale ossea) con totale occlusione dello spazio midollare per formazione di osso endostale.Il tessuto osseo di questi animali è privo di osteoclasti, sebbene siano presenti i loro precursori che sono in grado di differenziarsi se messi a contatto con cellule stromali/osteoblasti di topi normali.

Questi risultati suggeriscono che la presenza di RANK-L è un requisito assoluto per lo sviluppo degli osteoclasti. Infatti i livelli di RNA messaggero del RANK-L aumentano in seguito all’esposizione ad agenti che stimolano la formazione di osteoclasti, come il calcitriolo, il PTH, le prostaglandine PGE2 e diverse citochine (IL-1β,TNF-α, IL-11, IL-6, FGF). RANK, il solo recettore noto di RANK-L, è una proteina di transmembrana presente sulla superficie dei precursori degli osteoclasti. Anche nel caso di questa proteina gli esperimenti di knock out confermano il ruolo del sistema RANK-L/RANK/OPG: come prevedibile, questi animali hanno una grave osteopetrosi causata dalla completa assenza di osteoclasti e dall’assenza di riassorbimento osseo.

Numerose altre citochine sono attive sull’osso, come pure prostaglandine e leucotrieni, ma per una descrizione dettagliata delle loro azioni si rimanda a Mundy e collaboratori.

È invece rilevante ricordare che altri importanti ormoni possono influenzare il metabolismo osseo.
Tra questi, gli ormoni tiroidei stimolano il riassorbimento osseo, stimolando l’attività osteoclastica e in alcuni casi determinando ipercalcemia.

Gli ormoni glucocorticoidi inibiscono la formazione di osteoclasti, ma la loro somministrazione prolungata determina aumento del riassorbimento osseo; questa contraddizione si spiega in quanto questi ormoni inibiscono l’assorbimento intestinale di calcio, generano iperparatiroidismo secondario che a sua volta attiva il riassorbimento osseo. La carenza di estrogeni si associa a un aumento del riassorbimento osseo per circa 10 anni dopo la menopausa, con meccanismi non ancora completamente chiariti.

Modulazione farmacologica del metabolismo osseo e terapia dell’osteoporosi

Dal momento che ancora non si è in grado di influenzare gli importanti meccanismi locali che determinano il rimodellamento osseo, come il sistema RANK-L/RANK/OPG, nella pratica clinica si devono valutare con attenzione le alterazioni degli indicatori disponibili del metabolismo osseo. In particolare si possono correggere le alterazioni del sistema ormonale paratormone/vitamina D e ridurre con la terapia farmacologica la tendenza al bilancio calcico negativo presente nei pazienti con osteoporosi.

È importante affiancare alla terapia medica alcune semplici abitudini alimentari e comportamentali quali l’assunzione di alimenti ricchi di calcio (compatibilmente con il livello di colesterolemia) e di vitamina D: latte e suoi derivati, uova, pesce, frutta secca, alcune acque minerali. Inoltre sono importanti una regolare esposizione alla luce solare e un’adeguata e costante attività fisica. Sono invece da evitare il fumo, l’eccessiva assunzione di alcol e di caffè.

La terapia farmacologica va generalmente protratta per lungo tempo, sotto controllo medico periodico, per ottimizzare i benefici ed evitare effetti collaterali, dal momento che a seconda dell’andamento degli esami possono rendersi necessarie variazioni delle dosi o del tipo di farmaco utilizzato. I presidi farmacologici utilizzati più di frequente sono il calcio e la vitamina D.

  • Calcio

    Un’adeguata assunzione di calcio è alla base di ogni trattamento dell’osteoporosi ed è spesso raccomandata anche in associazione a farmaci. Qualora risulti insufficiente l’apporto di calcio e di vitamina D con la dieta, si rende necessario integrarlo ricorrendo a un supplemento di sali di calcio associati o meno a vitamina D.

  • Vitamina D

    La supplementazione con vitamina D rappresenta il passo obbligato e preliminare di qualsiasi strategia di prevenzione di perdita della massa ossea e di prevenzione delle fratture da osteoporosi, in particolare negli anziani. La correzione con vitamina D di una concentrazione plasmatica anche leggermente ridotta di 25(OH)D3, e la contemporanea somministrazione di calcio riducono in misura sostanziale il rischio di fratture osteoporotiche vertebrali e dell’anca29. La prevalenza di stati di ipovitaminosi D in anziani ricoverati e nella popolazione di età superiore a 65 anni è generalmente compresa tra il 25% e il 54%, ma può raggiungere il 79%30,31.

    La correzione di un deficit moderato di vitamina D si ottiene agevolmente con l’associazione precostituita di supplementi di calcio e vitamina D, che contengono da 400 a 800 unità/compressa.Tuttavia, nei casi di maggior gravità e in particolare nei pazienti con insufficienza renale, in cui siano clinicamente evidenti le conseguenze della carenza di vitamina D, come l’ipocalcemia associata a valori elevati di PTH, può rendersi necessario somministrare calcitriolo, la forma attiva della vitamina D.

  • Bifosfonati

    Sono presenti sul mercato diverse molecole che fanno capo a questo gruppo terapeutico.

    Studi clinici su vaste casistiche hanno dimostrato che l’alendronato e il risendronato riducono sensibilmente il rischio di fratture vertebrali e femorali in donne con osteoporosi accertata, rallentando il riassorbimento osseo. Si trovano attualmente in commercio preparazioni adatte ad assunzioni settimanali (una compressa ogni 7 giorni) con evidente semplificazione della gestione della terapia e con riduzione dei possibili effetti indesiderati sull’apparato digerente.

  • Terapia estrogenica

    La terapia ormonale sostitutiva della menopausa è efficace nel controllare la perdita di massa ossea, ma recentemente è stata criticata per effetti non favorevoli a carico dell’apparato circolatorio e per il possibile ruolo favorente dello sviluppo di neoplasie.Vista la ridotta finestra terapeutica degli estrogeni, sono significativi i risultati incoraggianti ottenuti su massa ossea e incidenza di fratture con il raloxifene, un modulatore selettivo del recettore degli estrogeni derivato dal tamoxifene, che presenta anche un profilo favorevole sull’apparato cardiocircolatorio e sullo sviluppo di neoplasie.

  • Paratormone

    A parte il fluoro che si è rilevato poco utile per ridurre il rischio di fratture, le terapie disponibili tendono tutte ad agire su un solo versante del rimodellamento osseo: rallentare il riassorbimento.

    Naturalmente un farmaco che possa invece stimolare la sintesi ossea sarebbe molto prezioso, anche in prospettiva di una terapia combinata che agisca su due fronti, magari a dosaggio inferiore, o sequenziale nel tempo, mantenendo sotto controllo sia la formazione che il riassorbimento osseo e rendendo quindi il trattamento ancora più modulabile e adattabile al singolo paziente. Come già accennato in precedenza, il primo prodotto di questo tipo, il teriparatide, è un analogo del PTH, in grado di stimolare la formazione di tessuto osseo20,37. Sebbene sia noto che l’iperparatiroidismo è caratterizzato da perdita di massa ossea, per il prevalere della componente di riassorbimento su quella di sintesi ossea, il teriparatide somministrato a dosi fisiologiche e in maniera intermittente favorisce la formazione ossea.

Il futuro: terapia genica e cellule staminali

In ambito ortopedico, è emerso da molto tempo il problema della difficoltà di guarigione di alcuni tipi di fratture, come quelle dello scafoide e quelle secondarie a politraumi ad alto impatto; e anche delle fratture nei pazienti con osteoporosi.
Per questi pazienti è stato ipotizzato il ricorso alla terapia genica e l’uso delle cellule staminali.

Un approccio proposto riguarda l’uso di cellule di derivazione muscolare che oltre a veicolare geni che facilitano la sintesi ossea, possano trasformarsi in un fenotipo osteoblastico che promuova la rigenerazione ossea.

Un altro approccio prevede l’uso di cellule staminali mesenchimali. Queste sono cellule staminali adulte che costituiscono diversi tessuti. Le cellule staminali mesenchimali mantengono la capacità di autoreplicarsi e di dare origine a differenti tipi di cellule mesenchimali. Sono quindi responsabili, almeno in parte, della capacità rigenerativa dei tessuti mesenchimali, tra cui la cartilagine e l’osso. Possono essere isolate con relativa facilità dal midollo osseo ed essere coltivate ed espanse in vitro, fornendo così una potenziale terapia per la rigenerazione dell’osso.

Ciò sarà possibile quando si disporrà dei segnali adatti (proteine osteogeniche) a indirizzare e controllare la differenziazione delle cellule staminali nei fenotipi che possono consentire la rigenerazione dell’osso.

Casi Clinici

A sostegno di quanto esposto sopra vengono presentati alcuni casi tratti dalla casistica personale, significativi per qualità del risultato chirurgico e diversità delle tecniche utilizzate.

Caso Clinico 1 (figure 5-8)

Paziente maschio, di anni 45, in soprappeso di 25 kg, forte mangiatore, non fumatore, non bevitore, con indici metabolici fortemente positivi per turnover osseo positivo. È stato sottoposto a split-crest: incremento bidimensionale per deficit di spessore. Si noti (figura 7) l’avanzato stato di rigenerazione dei tessuti dopo soli 20 giorni e la maturazione dopo 3 mesi.

 

Fig. 5 - Deficit di spessore

Fig. 5 – Deficit di spessore

Fig. 6 - Espansione chirurgica del sito implantare

Fig. 6 – Espansione chirurgica del sito implantare

Fig. 7 - Rientro dopo 4 settimane

Fig. 7 – Rientro dopo 4 settimane

Fig. 8 - Maturazione ossea dopo 90 giorni

Fig. 8 – Maturazione ossea dopo 90 giorni

 

Caso Clinico 2 (figure 9-14)

Paziente femmina, di anni 65, lievemente soprappeso (5-7 kg), non fumatrice, non bevitrice, che non presenta quadro osteoporotico. L’intervento è stato eseguito senza uso di osteoconduttori o innesto particolato di osso autologo, secondo la tecnica di Simion e collaboratori. È stata attuata rigenerazione con membrana Gore-Tex non rinforzata: aumento verticale tridimensionale.

 

Fig. 9 - Impianti posizionati nell' osso

Fig. 9 – Impianti posizionati nell’ osso

Fig. 10 - applicazione della membrana

Fig. 10 – Applicazione della membrana

Fig. 11 - Sutura

Fig. 11 – Sutura

 

Fig. 12 - Rientro dopo 10 mesi

Fig. 12 – Rientro dopo 10 mesi

Fig. 13 - Aspetto dell' osso perimplantare

Fig. 13 – Aspetto dell’ osso perimplantare

Fig. 14 - Abutment di guarigione

Fig. 14 – Abutment di guarigione

Caso Clinico 3 (figure 15-19)

Stessa paziente del caso clinico 2. Reintervento per frattura verticale del 2.3. Rigenerazione con osteoconduttore (Bio-Oss); controllo radiografico a distanza di 7 anni.

 

Fig. 15 - Posizionamento dell' impianto

Fig. 15 – Posizionamento dell’ impianto

Fig. 16 - Riempimento del difetto

Fig. 16 – Riempimento del difetto

Fig. 17 - Guarigione dopo 9 mesi

Fig. 17 – Guarigione dopo 9 mesi

 

Fig. 18 - Protesi definitiva in situ

Fig. 18 – Protesi definitiva in situ

Fig. 19 - Controllo radiografico dopo 7 anni

Fig. 19 – Controllo radiografico dopo 7 anni

Caso Clinico 4 (figure 20-24)

Paziente femmina, di anni 44, femmina, fumatrice, bevitrice abituale, indici di massa corporea nei limiti.

Fig. 20 - Foto iniziale del 2.2 protesizzato

Fig. 20 – Foto iniziale del 2.2 protesizzato

Fig. 21 - Soluzione protesica adottata

Fig. 21 – Soluzione protesica adottata

Fig. 22 - Innesto a onlay tridimensionale

Fig. 22 – Innesto a onlay tridimensionale

Fig. 23 - Inserimento dell' impianto

Fig. 23 – Inserimento dell’ impianto

Fig. 24 - Protesi in situ dopo la gestione dei tessuti molli

Fig. 24 – Protesi in situ dopo la gestione dei tessuti molli

Conclusioni

La molteplicità dei fattori da cui dipende il successo di una terapia è la variabile principale di cui bisogna tenere conto nell’analisi dei risultati di qualsiasi ricerca sull’efficacia clinica. La messe di metodiche implantari differenti per tipologia di materiali e forma degli impianti e le diverse filosofie rigenerative del sito osseo hanno scatenato una enorme produzione letteraria scientifica a difesa dell’una piuttosto che dell’altra tesi.

Nell’arco degli ultimi venti anni si è assistito a revisioni critiche della letteratura in merito all’implantologia osteointegrata, le quali, partendo dagli stessi presupposti di scientificità, hanno portato al ribaltamento totale delle conclusioni assolvendo con formula piena ciò che era stato precedentemente condannato senza ombra di dubbio.
Ad esempio i protocolli terapeutici dei primi anni novanta prevedevano l’attesa di 3-6 mesi prima del caricamento degli impianti, pena il fallimento dell’osteointegrazione, vale a dire la creazione di un’interfaccia osso-impianto stabile.
Adesso invece emerge sempre più la convinzione che la stimolazione meccanica dell’osso (carico immediato o precoce) sia la determinante favorevole del metabolismo osseo anche a livello locale.

Tecniche implantari di 30 anni fa , quali le viti autofilettanti in pezzo unico con il componente protesico, considerate per decenni vere eresie da un punto di vista scientifico, sono state rispolverate e rieditate come “onepiece implant” e presentate come il risultato della ricerca scientifica d’avanguardia.

Tutto questo ha ingenerato una grande confusione nell’utente odontoiatra (e ancor di più tra i pazienti) e ostacola la realizzazione di un serio programma di ricerca scientifica e sviluppo del settore. Tante metodiche, tante filosofie terapeutiche tutte scientificamente comprovate, con risultati difficilmente comparabili, ma efficaci.

I 4 casi clinici sopra riportati (tratti da una casistica personale di 15 anni di attività nel settore) sono stati eseguiti tutti da un singolo operatore nel rispetto dell’etica professionale e nell’ambito di una corretta informazione del paziente, mettendo in pratica quanto di meglio il mercato offriva in termini di chirurgia rigenerativa e implantologia.
In tutti i pazienti il risultato finale è stato molto soddisfacente e la tecnica chirurgica insieme a un’adeguata progettazione dei singoli interventi non sono di per sé sufficienti a giustificare il pieno successo di metodiche esplicitamente differenti tra loro.
Viene lecito pensare che la determinante fondamentale non sia la metodica ma il fenotipo metabolico osseo: pazienti con un metabolismo osseo molto attivo dal punto di vista del turnover e della capacità rigenerativo- proliferativa probabilmente reagiscono bene a diversi tipi di trattamento. Per questo motivo secondo gli Autori sarebbe opportuno sottoporre i pazienti a un attento protocollo di studio dei marker metabolici che riguardano il tessuto osseo in modo da poter fare un’analisi retrospettiva o prospettica dei dati significativi più attendibile su campioni omogenei per quanto riguarda tali parametri.

Articolo rilanciato dal Blog massimomazza.it

dr. Massimo Mazza & dr. Maurizio Gallieni